L’Ordinamento Penale italiano impone al teste il dovere «di rispondere secondo verità». Ma è possibile essere assolutamente certi di dire tutta la verità, soprattutto quando è trascorso molto tempo dall’evento?
A differenza di quanto si ipotizzava in passato, la memoria non è un semplice registratore di eventi con ricordi che equivalgono ad una copia dell’esperienza vissuta. Presupposto essenziale dei processi di memoria e di immagazzinamento dei ricordi, infatti, è che siano meccanismi dinamici e di ricostruzione. Un evento passa attraverso diversi stadi prima di trasformarsi in una traccia mnestica: percezione, codifica, immagazzinamento. Ultimo step il recupero. Su ciascuno di questi stadi possono agire diversi fattori di distorsione cognitivi, emotivi o comportamentali.
Quando entriamo nel complicato campo dei casi a pista fredda, ci scontriamo inevitabilmente con un fattore contro cui non abbiamo alcun potere, il “Tempo”. Così come il nostro cervello è progettato per ricordare, allo stesso modo è progettato anche per dimenticare. In realtà, potremmo affermare che non è possibile ricordare se non si è prima dimenticato qualcosa. La memoria, infatti, raccoglie e conserva informazioni, tuttavia, in base al principio di economia cognitiva, deve selezionare le informazioni in entrata ed eliminare le informazioni già immagazzinate, ma ritenute superflue.
Sono sicuramente numerosi i “punti deboli” della memoria, per citarne alcuni abbiamo ad esempio la distrazione, la suggestionabilità, la distorsione, le attribuzioni erronee, la labilità.
Quando abbiamo a che fare con il fattore tempo, il meccanismo, responsabile della perdita o dell’impossibilità di recuperare informazioni che in precedenza si possedevano, è denominato Oblio ed ha proprio a che vedere con la labilità della memoria. Sono diversi i momenti in cui questo fenomeno può intervenire. I fattori responsabili dell’oblio possono, infatti, intervenire in ogni step del processo di memoria: al momento della codifica, ad esempio, per cui l’informazione non viene proprio registrata, al momento dell’immagazzinamento o direttamente nel momento in cui dobbiamo recuperare la traccia mnestica.
Se disegnassimo una curva che descriva in che modo il tempo incida sull’oblio, vedremmo una discesa ripidissima. Infatti, già dopo poche ore dall’evento, il nostro cervello comincia a rimuovere tutte le informazioni che non ritiene rilevanti.
Se questo sembra impossibile, basti provare a pensare a quante volte riponiamo un oggetto in casa dicendoci “lo metto qui, così ricordo dov’è” per poi cercarlo per giorni, non avendo più cognizione del luogo in cui lo abbiamo collocato, nonostante lo avessimo scelto con la convinzione di non dimenticarlo.
Esistono diverse teorie sul perché si inneschi il fenomeno dell’oblio. Per la teoria del decadimento della traccia mnestica verrebbero dimenticati i ricordi più lontani nel tempo. Per la teoria dell’interferenza avverrebbero due processi: una interferenza retroattiva per cui le nuove informazioni interferirebbero con le vecchie già acquisite; una interferenza proattiva per cui, all’opposto, le informazioni acquisite in precedenza interferirebbero con le nuove che vengono acquisite in tempi successivi. Esiste poi una terza teoria che è quella dell’impossibilità del recupero, per cui una informazione correttamente immagazzinata non può essere recuperata per svariate cause (si pensi ad esempio ad un evento traumatico rimosso).
È evidente, quindi, come la labilità sia una caratteristica intrinseca della memoria (che è già presente nello step dell’immagazzinamento) per cui è normale dimenticare dettagli di un evento con il passare del tempo. Da ricordi più specifici e dettagliati si passa a ricordi più generici e meno precisi.
Quando ci interfacciamo con una testimonianza, quindi, uno dei primi fattori da tenere a mente è proprio il tempo trascorso tra l’evento e la raccolta delle informazioni fornite dalle persone che, a vario titolo, vengono ascoltate perché informate sui fatti.
Come abbiamo accennato in apertura, il fattore tempo si rileva essere, quindi, spesso uno degli scogli più grandi nell’analisi della testimonianza dei casi a pista fredda. Frequentemente ci si trova ad interfacciarsi con verbali che contengono dichiarazioni contrastanti sul medesimo evento (sia di persone diverse, che della medesima persona ascoltata più volte) e con l’estrema difficoltà di risolvere tali incongruenze. Riascoltando il soggetto, dopo anni, sul medesimo evento, ci scontriamo con il fatto che quello che era un ricordo dettagliato all’epoca del fatto, oggi è una traccia quasi sicuramente imprecisa e distorta a causa di una serie di fattori più o meno “naturali”. Ragione per cui riascoltando tali testimoni, i contrasti potrebbero addirittura aumentare, invece che risolversi.
Per tutto quello che si è descritto fin qui, l’analisi della testimonianza in generale, ma nello specifico nei casi rimasti irrisolti per anni, non può prescindere quindi da una complessa analisi di tutti quegli elementi che risultano di sicuro ancoraggio, presenti nell’intero fascicolo (es. analisi scientifiche, tabulati telefonici, video o fonoregistrazioni, dati informatici, fotografie etc). Questo è fondamentale per riuscire a ricollocare le informazioni contrastanti, che emergono dai verbali, in una timeline degli eventi più accurata possibile.