È l’8 Novembre del 1975, in Via Caravaggio a Napoli entrano Polizia e Vigili del Fuoco, trovandosi davanti alla strage della famiglia Santangelo. Gemma Cenname, Domenico Santangelo ed il piccolo cane Dick sono nella vasca da bagno, la giovane Anna Santangelo è in camera da letto avvolta nelle coperte. Ovunque in casa ci sono tracce del massacro, il sangue è dappertutto, con pozze e scie di trascinamento nelle camere, nel corridoio e nel bagno. Le vittime sono state colpite alla testa con un oggetto mai ritrovato e poi sgozzate con un coltello. La cosa che risulta subito chiara è che hanno aperto la porta al loro assassino. I sospetti degli investigatori si indirizzano, quindi, quasi subito su Domenico Zarrelli, un nipote di Gemma Cenname. Il ragazzo oltre ad aver avuto precedenti problemi legali con la Cenname, viene riconosciuto da un testimone alla guida dell’auto di Santangelo mentre si allontana da via Caravaggio la notte del massacro. Inoltre, sulle mani del giovane vengono trovate ferite che giustificherà con una caduta risalente ad alcuni giorni prima, mentre spingeva la sua auto in panne. Il processo di primo grado, seppur indiziario, si conclude con la condanna all’ergastolo del giovane. Zarrelli viene invece assolto in appello a Napoli. Dopo l’annullamento di tale sentenza da parte della Cassazione viene nuovamente assolto con formula piena. La sentenza viene confermata nel 1985 dalla Cassazione e in seguito l’uomo ottiene dallo Stato italiano il risarcimento per danni morali e materiali. Analizzate nel 2014 le tracce di DNA (conservate da 1975) rilevate allora dalla polizia scientifica su uno straccio da cucina insanguinato e su alcuni mozziconi sequestrati sulla scena del delitto, emergerebbe la presenza di Domenico Zarrelli nell’appartamento dei Santangelo e di altri due soggetti non identificati. Nonostante tali scioccanti rivelazioni Zarrelli non potrebbe essere processato nuovamente, questo per il principio di diritto dell’ordinamento italiano “ne bis in idem” (let. non due volte per la stessa cosa). Tale principio garantisce che non possa esserci, per uno stesso fatto, un nuovo procedimento nei confronti di un imputato già giudicato in via definitiva. Dopo 45 anni, nonostante le nuove scoperte, è destinata a restare ancora avvolta nel mistero la tristemente nota Strage di Via Caravaggio.